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Antisemitismo. Prevenire è meglio che curare

By Giugno 24, 2014One Comment

antisemitismo_02Mi sono sempre domandata perché, invece di dedicare infinite risorse, economiche e umane, alla cura dei tumori, non si concentri l’attenzione sui fattori che lo innescano, quegli input fisici e cellulari che fanno crescere nel corpo un nemico creato da se stesso. Se si scoprisse la causa, almeno quella principale, l’epidemia si potrebbe fermare all’origine, invece che affrontarla con cure costose e devastanti. Prevenire è meglio che curare, diceva una vecchia pubblicità di quando ero bambina. Non ne capivo molto il senso. Oggi invece sì.

L’Europa e il mondo sono invasi da un cancro che si è risvegliato dalle ceneri di Auschwitz, dalle macerie dei villaggi polacchi rasi al suolo da contadini antisemiti, dalle fiamme di sinagoghe e case di studio, accese durante le migliaia di pogrom del passato, dagli autodafè spagnoli eretti nelle piazze per dimostrare che chi non ha trovato la via della verità merita solo la morte. Oggi l’antisemitismo è qui, tra noi, come un tumore maligno che si risveglia e invade con i suoi tentacoli il corpo del mondo. Noi corriamo ai ripari facendo indossare ai nostri figli un cappello mentre camminano per la strada o prendono la metropolitana, andando a pregare barricati da camionette della polizia e metal detector, portando i nostri figli a scuola e sentendo il cuore in gola. Dobbiamo fare veloce, nessuno sosti davanti all’entrata. Lì fuori non siamo più al sicuro.

Barricarsi, proteggere, provare a nascondersi, è l’unica cura rimasta dopo che la malattia è stata dichiarata diffusa a tutti i livelli dell’organismo. Questa è la cura, di una malattia che tutti accettano con passività.

Ormai nessuno pensa nemmeno a come riuscire ad estirpare questo male dalla mente dell’umanità.

Eppure la soluzione sarebbe così facile, quasi banale.

Immaginate una campagna mediatica in cui si racconti cosa fa Israele per curare i siriani massacrati dai loro fratelli musulmani. In cui si dica la verità su quello che succede dietro le quinte di un bambino ferito dai soldati israeliani. Su come, la maggior parte delle volte, viene allestita la scena, preparato un succo di pomodoro rosso e dopo che i fotoreporter vanno a bersi il caffè al bar, il finto ferito si alza e riceve la paga per l’ora di recitazione.

Immaginate pagine di giornale, telegiornali, in cui si racconta e ricorda il motivo per cui si sta mettendo a ferro e fuoco un’area popolata da molti terroristi.  Per riportare a casa tre ragazzini che, all’uscita da scuola, con l’anima piena di ottimismo verso l’umanità, prendono un passaggio da una presunta brava persona. Che invece li trascina con sé nel baratro, nel mondo del terrorismo globale, dove non importa se sei ebreo, cristiano o presbiteriano. Non sei parte dell’Islam e meriti solo la morte peggiore.

Immaginate giornalisti che insegnano la morale che da millenni guida e tiene al mondo il popolo ebraico. Una morale basata sulla parola vita, non solo tua, ma anche del tuo peggiore nemico, di chi ha fatto a brandelli esseri umani, bambini con in bocca un pezzo di pizza, mamme con il cucchiaino del gelato porto verso la bocca di un neonato che verrà sepolto vicino a loro. Nell’aldilà l’ebreo viene premiato solo se avrà rispettato quel soffio divino presente in ogni essere umano, ebreo e non. E in questo mondo c’è chi osa contrapporlo a chi nell’aldilà viene premiato in proporzione al numero di anime che falcerà da questa terra.

Ma come al mondo probabilmente fa più comodo il giro d’affari innescato dai miliardi spesi nelle cure dei tumori piuttosto che investire massicciamente nella prevenzione, così il mondo preferisce barricare gli ebrei, denunciare gli sputi, gli sfregi, le sparatorie, indagare sugli atti terroristici ex post, sulle sparatorie a Bruxelles, a Lione, sulle pietre ad Anversa e il saluto nazista in Ucraina, piuttosto che cercare di evitarli attraverso una massiccia campagna di vera informazione.

Nella Torah c’è l’obbligo di erigere una balaustra, una protezione nei punti dove la vita di una persona potrebbe essere in pericolo, dove si rischierebbe di cadere. Chi non previene è ritenuto pienamente responsabile nel caso accada qualcosa.

Una volta era la Chiesa e le sue predicazioni antisemite. Poi sono arrivati i protocolli dei Savi di Sion e la soluzione finale. Oggi si nasconde la parola antisemitismo dietro a un paravento talmente trasparente, che solo chi è in malafede non è in grado di vedere la mano che ci sta dietro. Una mano assettata di sangue infedele.

Non sogno un J’accuse a posteriori. Non ho bisogno di scuse del mondo quando ormai il tumore avrà fatto il suo lavoro. Sogno una massiccia operazione mediatica che racconti ad ogni essere vivente che questo maledetto male ha infestato la terra dai tempi della Babilonia, dell’impero romano, dell’Inquisizione, della Russia zarista, della Germania nazista. Israele ancora non esisteva ma il mondo da sempre ha cercato e trovato infinte scuse. Per dare addosso all’ebreo.

Finchè questo non succederà e la stampa, i telegiornali, inonderanno le case con notizie parziali e faziose, il mondo mediatico sarà colpevole di ogni atto antisemitico e terroristico ai danni di ogni ebreo, ovunque si trovi nel mondo. Perché la maggior parte di questi sono frutto di un indottrinamento alimentato con le bugie e diffamazioni antisemite che riempiono l’aria del mondo in ogni secondo.

Gheula Canarutto Nemni

One Comment

  • Luciana ha detto:

    I media sicuramente hanno un ruolo decisivo ma laddove non ci arrivassero i media seri, ci dovrebbero arrivare gli organismi internazionali, le scuole (innanzitutto), gli stati nazionali, ci dovrebbero arrivare le istituzioni di ogni grado e ambito. Si è mai visto un mondo accademico così silenzioso sui drammi degli esseri umani come in questi tempi?

    E visto che si fanno da parte e chiudono gli occhi in troppi, cosa si può fare – oltre che affidarsi sempre a Colui che non dorme e veglia su Yisrael? Bisogna (per quel poco che vale il mio di pensiero) lavorare nei confronti sani, bisogna parlare con chi il telegiornale non lo segue nemmeno più ma anche con quei pseudo esperti di geopolitica, bisogna offrire del proprio tempo nei confronti con chi non conosce nè ebrei nè l’ebraismo fuori dagli archetipi e stereotipi costruiti nei secoli da quei nemici/antagonisti che hai ben citato.

    E’ necessario ‘uscire’ e parlarne fino a perdere la voce, guai a rimanere bloccati dallo stupore o dalla paura! Guai a cadere nella disperazione che non ci appartiene nè ci è concessa e chiuderci dentro casa! Guai a farsi sfiorare dal pensiero che il mondo è un cesto colmo di mele marce e che è inutile cercare del buono. Sarebbe come perdere la fede in Colui che ci ha creati. Le narici sono tutte piene appunto e ce ne sarà un motivo insondabile.

    Colui che ci concede di vedere questa giornata l’ha concessa anche al giornalista disonesto di turno ed al violento che ruba la spensieratezza di tre famiglie innocenti, non bisogna dare alla stampa e ai media un ruolo che non potranno mai avere, anzi. Chiudere la porta della mente alla ricerca dei colpevoli e dedicarsi a cogliere comunque l’occasione di fare tikkun e hasbarah è il contrasto migliore da offrire. Am Yisrael chai v kayam.

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