Cari David Grossman, Eshkol Nevo e coloro che hanno deciso di rendere me, i miei figli, i frequentatori della mia sinagoga e gli ebrei del mondo che portano una kippà in testa e dal tramonto del venerdì sera osservano il riposo per venticinque ore, colpevoli per ciò che è successo in Israele.
Complici di un pazzo appena uscito di prigione che, vestito (o travestito) da ortodosso ha ucciso senza pietà una ragazza di 17 anni.
Motore propulsore di una mano che nel mezzo della notte ha incendiato una casa uccidendo un bambino e il padre.
Noi ebrei osservanti e la religione che viviamo ogni giorno, siamo stati messi sul banco degli imputati.
E allora, come in ogni processo dove regni la vera giustizia, mi arrogo il diritto di difendermi di fronte a queste accuse immoralmente generalizzate.
Eshkol Nevo ricorda nel proprio articolo che per l’ebraismo salvare vite ha la precedenza sul sabato.
Per l’ebraismo salvare la vita ha la precedenza su tutte le regole, non solo sul sabato. La Torah è chiamata Torah di vita.
L’ebraismo è la religione di un D-o che impone il silenzio agli angeli quando provano a lodarlo per la vittoria contro gli egiziani. Non cantate davanti alla morte. Anche l’essere umano, per malvagio che sia, è una creatura delle Mie mani.
L’ebraismo è la religione che insegna a cacciare via la madre per evitarne la sofferenza quando si prendono le uova dal nido di un uccello.
E’ quell’insieme di regole che vieta di mescolare la carne con il latte perché la carne del vitello morto non entri in contatto con il latte che gli ha dato la vita
E’ la tradizione in cui è proibito mangiare il sangue, perché in esso scorre la vita, e anche un singolo uovo in cui sia presente una minima chiazza rossa, non viene permesso.
David Grossman si domanda chi sia la persona capace di un simile gesto. E la cerca tra ‘forze che si esaltano alla fiamma di una fede religiosa e nazionalista e ignorano completamente i limiti della realtà e le regole della morale e del buon senso’.
Sì, i colpevoli di questi gesti ignorano sicuramente i limiti della realtà e le regole della morale e del buon senso. E proprio perché ignorano questi limiti non possono essere definiti uomini di fede.
Perché la fede non è altro che un insieme di pensieri, parole e azioni con lo scopo di migliorarci, di trasformaci in ogni istante in persone spiritualmente e moralmente superiori al momento precedente.
Non reprimere, come sempre reprimiamo le ingiustizie, scrive Eshkol Nevo.
Caro Nevo, vorrei aggiungere che per migliorare il nostro mondo non è solo la parola di condanna che conta. Un mondo migliore non dovrebbe mai cadere nella trappola della generalizzazione, nella creazione di un calderone dove gettare senza distinzione tutti gli ebrei che osservano.
Vergognarci di noi, aggiunge Nevo.
Vergognarci di noi ma non per gli atti di persone che con noi non hanno proprio nulla in comune.
Dobbiamo vergognarci perché siamo capaci di buttare in bocca a chi ci odia la legittimità di odiarci, la giustificazione di definirci come un nemico da abbattere.
Ieri erano gli ebrei usurai, domani saranno gli ebrei che bruciano i bambini.
Ed in nome di questa autocoscienza urlata ai quattro venti, in cui ci si getta la cenere sul capo per atti di singoli individui (che il mondo, quando succede con altre società, ha la capacità, anche di fronte a una realtà evidentemente contraria, di chiamare cellule impazzite) si fornisce l’autorizzazione silente a violenze contro il popolo ebraico.
Nevo ce l’ha su con i rabbini che hanno il potere di fermare questa follia.
‘Ecco ho messo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male’, dice D-o nel libro di Deuteronomio al capitolo 30, verso 15.
‘Scegli la vita’, implora D-o nel verso 20.
Nel mondo esiste il libero arbitrio, esiste la possibilità di scegliere il male. Non sono i rabbini la causa e il momento finale del libero arbitrio.
Il potere di scelta sta nelle mani dell’individuo stesso.
E anche nel mondo ebraico, come dappertutto, esistono pazzi camuffati da religiosi che esercitano a pieno questo diritto.
La vera fede ebraica, quella che si basa sulla Torah, sceglie sempre e solo la vita.
La Torah è ‘l’albero della vita’ e le sue strade sono strade di pace. L’ebraismo è la religione dell’ama il tuo prossimo come te stesso, scrive Noa, la cantante israeliana, nel suo status di Facebook del 5 agosto.
Vergognarci di far parte del popolo che prodotto queste persone, aggiunge Nevo.
No, non mi coprirò il capo di cenere per quello che è successo. Come da italiana non mi sento colpevole quando la mafia scioglie i bambini nell’acido. Non è la mia cultura la fonte a cui attingono i pazzi che si fanno giustizia da sé.
Io con quelle persone non c’entro niente.
Un tribunale ebraico veniva giudicato severo se in settant’anni di attività condannava a morte una persona.
Perché nell’ebraismo il respiro di ogni essere vivente è un valore assoluto.
Gheula Canarutto Nemni
Grazie Stefano. La comunanza di voci ci salverà. Ne sono sicura
Grazie di quello che scrivi, Gheula. Da cristiano cattolico romano, ho studiato negli anni le origini della mia fede, che sono profondamente radicate nella tua; il mio D-o è lo stesso tuo D-o (lo scrivo come te, per rispetto di questo posto che mi ospita, che è un po’ come fosse casa tua). È un D-o di vita, non il dio (minuscolo) dei morti. La vita di tutti, non solo del suo popolo.
Grazie di quello che scrivi, Gheula. Da cristiano cattolico romano, ho studiato negli anni le origini della mia fede, che sono profondamente radicate nella tua; il mio D-o è lo stesso tuo D-o (lo scrivo come te, per rispetto di questo posto che mi ospita, che è un po’ come fosse casa tua). È un D-o di vita, non il dio (minuscolo) dei morti. La vita di tutti, non solo del suo popolo.
E studiare un po’ di legislazione internazionale prima di sparare paroloni a vanvera privi di qualunque fondamento, no, eh? Molto più comodo, e rassicurante, riempirsi la bocca dei soliti mantra della propaganda filoterrorista quali “colonie illegali”, “occupazione militare” ecc.
POST SCRIPTUM: quella cosa che lei chiama “Cisgiordania”, si chiama “Giudea e Samaria”. In ebraico “Yehuda veShomron”, in arabo “Yahud was Samara”. Il nome “Cisgiordania è stato inventato durante l’occupazione ILLEGALE da parte della Giordania, precedentemente chiamata “Transgiordania”, stato illegale, illegalmente fabbricato a tavolino nel 1921 su terra rubata agli ebrei. Per la precisione su un territorio corrispondente al 78% di quello che era stato destinato a diventare lo stato di Israele. Vede che brutte figure che si fanno quando si parla di cose che non si conoscono.
Il problema è che nella Sua lettera non v’è traccia della questione dell’occupazione israeliana in Cisgiordania. Non sarà micca un caso che tutti gli ebrei fanatici responsabili di gesti tanto infami provengano TUTTI dalle colonie illegali. Cospargersi il capo di cenere per i crimini altrui no..ma domandarsi quanta responsabilità abbia uno Stato e una Comunità che consentono ad una porzione di popolazione di vivere al di sopra della legge questo si.. Cosa sta facendo Israele per ripristinare la legalità in Cisgiordania? Cosa sta facendo Israele per impedire ai SUOI cittadini di edificare in un territorio che per il diritto internazionale è sottoposto ad “occupazione militare”? Nulla, anzi, i coloni sono sempre star difesi e addirittura foraggiati! Ecco perché Israele ha delle responsabilità dirette rispetto all’allevamento di queste serpi in seno.. Non ha fatto nulla per far si che non si sentissero al di sopra della legge! E per ciò ne è responsabile! Comodo parlare solo della Torah! La faccia nascosta della medaglia è nelle colonie illegali non nella religione ebraica.. Lei finge di non saperlo. E’ molto vile evitare volutamente di nominarle!
Quel povero figlio morto per difenderlo si starà rivoltando nella tomba.
Grossman crede davvero che gli assassini di ebrei cesserà ero di assassinare se Giuda e Samaria (Israele)venissero cedute come “Palestina”?
E davvero crede che terrorismo e guerra di difesa siano la stessa cosa? E crede che la colpa di tutto ciò sia di Israele e del governo israeliano?
Ok, vive in un Paese democratico e può esprimersi liberamente
Ma mi mette a disagio sapere che vive al riparo di uno Stato che lo protegge, ma che lui considera colpevole di ogni atto terroristico.
Sono confusa
Grazie!
QUEL BAMBINO, Ali Saad Dawabsheh, non mi esce di mente. Nemmeno la scena mi esce di mente: la mano di un uomo apre una finestra in piena notte e lancia una bottiglia incendiaria in una stanza dove dormono madre, padre e due bambini. I pensieri, le immagini, sono strazianti. Chi è la persona, o le persone, capaci di un simile gesto? Dopo tutto loro, o i loro complici, questa mattina girano ancora fra noi. È forse possibile veder loro addosso un segno di ciò che hanno fatto? E cosa hanno dovuto cancellare dentro di loro per voler annientare così un’intera famiglia?
Benjamin Netanyahu e alcuni ministri di destra si sono affrettati a condannare con fermezza l’omicidio. Netanyahu si è anche recato in ospedale per una visita di condoglianze e ha espresso sgomento per l’accaduto. La sua è stata una reazione umana, sincera, e la cosa giusta da fare. Ciò che è difficile capire è come il capo del governo e i suoi ministri possano ignorare il legame tra il fuoco da loro attizzato per decenni e le fiamme degli ultimi avvenimenti. Come non vedano il nesso tra l’occupazione della Cisgiordania che dura da quarantotto anni e la realtà buia e fanatica creatasi ai margini della coscienza israeliana.
Una realtà i cui sostenitori e propugnatori aumentano di giorno in giorno, che si fa sempre più centrale, accettabile e legittima agli occhi dell’opinione pubblica, della Knesset e del governo.
Con una sorta di ostinata negazione della realtà il primo ministro e i suoi sostenitori si rifiutano di capire nel profondo la visione del mondo che si è cristallizata nella coscienza di un popolo conquistatore dopo quasi cinquant’anni di occupazione. L’idea, cioè, che ci sono due tipi di esseri umani. E il fatto che uno sia assoggettato all’altro significa, probabilmente, che per natura è anche inferiore all’altro. È, come dire, meno “umano” di chi l’ha conquistato. E questo fa sì che persone con una certa struttura mentale prendano la vita di altri esseri umani con agghiacciante facilità, anche se quell’essere umano è un bambino di solo un anno e mezzo.
In questo senso, gli episodi di violenza dello scorso fine settimana (l’aggressione al Gay Pride e l’omicidio del bambino) sono interconnessi e scaturiscono da una simile visione del mondo: in entrambi l’odio — l’odio in sé, essenziale, istintivo — è per alcuni un motivo legittimo e sufficiente per uccidere, per distruggere la persona odiata. Chi ha dato fuoco alla casa della famiglia Dawabsheh non sapeva nulla di loro, dei loro desideri, delle loro opinioni. Sapeva solo che erano palestinesi e questo per lui, per i suoi mandanti e sostenitori, era una ragione sufficiente per ucciderli. In altre parole la loro stessa esistenza giustificava, a suo vedere, l’omicidio e la loro scomparsa dalla faccia della terra.
Da oltre un secolo israeliani e palestinesi girano e rigirano in una spirale di omicidio e vendetta. Nel corso della lotta i palestinesi hanno trucidato centinaia di bambini israeliani, sterminato intere famiglie e commesso crimini contro l’umanità. Anche lo stato di Israele ha compiuto azioni analoghe contro i palestinesi utilizzando aerei, carri armati e armi di precisione. Ricordiamo bene ciò che è successo un anno fa durante l’operazione “Margine di protezione”.
Ma il processo in atto in questi ultimi anni all’interno di Israele, la sua forza e le sue ramificazioni maligne sono pericolosi e devastanti in un modo nuovo e insidioso. Si ha la sensazione che nemmeno ora la leadership israeliana capisca (o rifiuti di ammettere una realtà che le è insopportabile) che elementi terroristici al suo interno le hanno dichiarato guerra e che essa non è in grado, oppure teme, oppure è incerta se sia il caso di decifrare questa dichiarazione in maniera esplicita.
Giorno dopo giorno escono allo scoperto forze brutali e fanatiche, oscure ed ermetiche nel loro estremismo. Forze che si esaltano alla fiamma di una fede religiosa e nazionalista e ignorano completamente i limiti della realtà e le regole della morale e del buon senso. In questo turbinio interiore la loro anima si intreccia inesorabilmente con le linee più radicali, e talvolta più folli, dello spirito umano.
Più la situazione si fa pericolosa e incerta, più queste forze prosperano. Con loro non ci può essere nessun compromesso. Il governo israeliano deve combatterle esattamente come combatte il terrorismo palestinese perché non sono né meno pericolose né meno determinate. Sono forze massimaliste e in quanto tali, si sa, potrebbero anche commettere errori madornali. Per esempio colpire le moschee sulla Spianata del Tempio, un atto che potrebbe avere conseguenze disastrose per Israele e per tutto il Medio Oriente.
È possibile che l’orribile fine del bimbo bruciato vivo riscuota i leader della destra e li porti a capire finalmente ciò che la realtà grida alle loro orecchie da anni? Ovvero che l’occupazione e la mancanza di un dialogo con i palestinesi potrebbero avvicinare la fine di Israele in quanto stato del popolo ebraico e paese democratico? Come luogo con il quale i giovani si identificano, dove vogliono vivere e crescere i loro figli?
Netanyahu capisce veramente, nel profondo, che in questi anni, mentre si dedicava anima e corpo a ostacolare l’accordo con l’Iran, si è creata qui una realtà non meno pericolosa della minaccia iraniana? Una minaccia dinanzi alla quale lui appare smarrito e si comporta di conseguenza?
È difficile vedere come sia possibile sbrogliare questo groviglio e riportare le cose a una situazione di razionalità. La realtà creata da Netanyahu e dai suoi amici (nonché dalla maggior parte dei suoi predecessori), la loro acquiescenza all’attivismo dei coloni, la loro profonda solidarietà con loro, li hanno catturati in una rete che li ha resi impotenti e paralizzati.
Da decenni Israele mostra ai palestinesi il suo lato oscuro. L’oscurità, da tempo ormai, è filtrata al suo interno e questo processo si è accelerato notevolmente in seguito alla vittoria di Netanyahu alle ultime elezioni dopo la quale nessuna forza contrasta più l’arroganza della destra.
Episodi orrendi come l’omicidio del bambino bruciato vivo sono in fondo il sintomo di una malattia molto più grave e segnalano a noi israeliani la serietà della nostra situazione dicendoci, a lettere di fuoco, che la strada per un futuro migliore ci si sta chiudendo davanti.
© David Grossoman 2015 Traduzione di Alessandra Shomroni
Questo è l’articolo di Eshkol Nevo
Eshkol nevo Scrivere ora. Subito. Prima di abituarci a questo orrore. Prima che sia rimpiazzato da un altro orrore.
Scrivere ora. Nonostante sia Shabbat. Salvare vite ha la precedenza sul sabato.
Guardare la fotografia del bambino. Il suo volto. I suoi occhi sorridenti. Non distogliere lo sguardo.
Non negare. Non reprimere come sempre reprimiamo le ingiustizie.
Immaginare i genitori che corrono nella camera in fiamme per salvarlo. E non riescono.
Immaginare noi che corriamo nella casa per salvare le nostre figlie. E non riusciamo.
Pensare ai suoi ultimi momenti. Al suo pianto che lentamente si spegne.
Pensare a una piccola tomba. Pensare che persone che si definiscono ebrei hanno fatto questo.
Pensare che è una vergogna che il loro essere ebrei non possa venir ritirato, come si ritira una patente.
Vergognarsi.
Vergognarsi di loro. Vergognarci di noi. Di far parte del popolo che ha prodotto queste persone.
E le persone che hanno bruciato Mohammed Abu Khdeir.
Essere arrabbiati.
Non mitigare la rabbia con gli argomenti razionali di un articolo. Ci sarà tempo per questo in futuro. Nel frattempo, essere semplicemente arrabbiati.
Con i pazzi che hanno fatto questo.
Con le persone che li sostengono con il loro silenzio.
Con i rabbini che hanno il potere di fermare questa follia. E scelgono di non farlo.
Con gli amici religiosi, alcuni dei quali soffrono di una intollerabile cecità morale quando si tratta di arabi.
Con i servizi di sicurezza, che hanno fallito più e più volte nel tentativo di fermare il terrorismo ebraico.
Con il governo, che non ha incaricato i servizi di sicurezza di dare a quel tentativo priorità assoluta.
Con il primo ministro, tanto preoccupato dell’Iran che non si è accorto che la casa brucia.
Con noi stessi.
Anche noi ci siamo preoccupati di altro. Quasi sempre. Schiacciati dalle ruote della vita e del mutuo. Abbiamo permesso che ci fosse il fascismo.
Pensare che non era questo l’ideale. Non era per questo che abbiamo fatto il servizio militare.
Non era per questo che lo Stato ebraico è stato fondato.
Non per bruciare i bambini nel sonno.
Pensare che ci piacerebbe vivere da qualche altra parte, dove la gente parla del tempo che fa.
Dove le persone non fanno agli altri cose del genere.
Sapere che non possiamo vivere in nessun altro posto. Che siamo troppo legati, con ogni nostra fibra, a questo luogo.
Alle nostre memorie. Alla nostra lingua. Ai nostri amici. Compresi quelli di loro che sono religiosi.
Sapere che non c’è alternativa all’alzarsi in piedi e al combattere per l’immagine di questo paese: una minoranza (sì, una minoranza), che è fanatica, violenta, oscurantista e razzista sta gradualmente appropriandosi delle politiche dello Stato di Israele.
Quella minoranza lo sta trascinando in un abisso morale. E sta mettendo a rischio la sua stessa esistenza. E questo significa una sola cosa:
La maggioranza silenziosa deve, semplicemente deve, smettere di essere silenziosa.
Prima che sia troppo tardi.
(Traduzione dall’inglese)
Gheula, potresti darci i link per gli articoli a cui rispondi per favore?