In ogni generazione, in ogni periodo storico, secolo e millennio c’è stato qualcuno desideroso di porre fine al popolo ebraico.
Di vederlo diventare un reperto archeologico, trasformato in un ricordo, in una lezione di storia.
In ogni generazione si è alzato un Haman il cui sogno era di cancellare ogni traccia ebraica dalla faccia della terra.
Anche in quelle generazioni in cui gli ebrei quasi non si distinguevano dagli altri.
Anche in quei decenni in cui l’ebraismo veniva relegato a qualche ora all’anno, a qualche rito sporadico tramandato.
Anche in quei momenti in cui l’ebreo faceva di tutto per ingraziarsi il regnante di turno, convinto che il proprio destino dipendesse dall’umore del regno.
D-o non viene menzionato nella meghilà nemmeno una volta.
Bisogna scovarlo tra le righe, andarlo a cercare negli acronimi delle parole, si devono fare i salti mortali per ritrovarlo nelle allusioni, nelle espressioni.
Non c’è il Suo nome, sembra sparito nel nulla. Come dalla vita degli ebrei di quel periodo storico.
D-o è relegato ai margini della storia, perché gli ebrei Lo avevano relegato ai margini della propria vita.
Poi però si alza Haman e tutto cambia profondamente.
Gli ebrei, appena venuti a conoscenza dell’imminente sterminio, usano tutti i propri canali diplomatici, mandano delegazioni.
La regina mette la propria vita a repentaglio.
Ma nello stesso tempo è la regina stessa a dire, guardatevi dentro.
Perché il mondo ci considera diversi seppure abbiamo provato a fare dimenticare la nostra identità a tutti?
E gli ebrei si riunirono e pregarono, si strapparono le vesti e digiunarono.
Ricordarono ai propri figli chi erano, proprio in quel momento in cui la minaccia pendeva pericolosamente sulla loro testa.
Quando qualcuno si alza e dichiara ‘ripuliamo il mondo da questa nazione così diversa’, il popolo ebraico, pur avendo fatto di tutto per assimilarsi e rendersi uguali agli altri, ritrova la propria essenza.
Dove era D-o durante Purim?
Dove era durante le tragedie che hanno colpito il Suo popolo?
D-o è lì nella fede ritrovata di chi pensava di non averla mai avuta, D-o sarà nel risveglio di quell’ebreo a cui apparentemente, della propria identità, non è mai importato niente.
D-o è in quegli gli ebrei che rischiavano la propria vita per indossare i tefilin di nascosto ad Auschwitz, quando nella comodità delle proprie case non l’avevano mai fatto.
D-o è nelle raccomandazioni ai figli di festeggiare il proprio bar mizvah prima di metterli in salvo su un treno.
E’ in quei figli che, sporgendosi dal finestrino, domandano ‘ma papà, cosa è un bar mizvah?’, perché nessuno glielo aveva mai detto.
D-o è nei raduni segreti per celebrare il seder, con il rischio di finire in un gulag per il resto della propria vita.
D-o è nei Daniel Pearl che, con la spada sul collo urlano al mondo ‘io sono ebreo’ negli ultimi respiri.
D-o è sempre con noi anche se non lo riusciamo a vedere.
E’ lì, nell’anima ebraica che rinasce sotto minaccia, quando razionalmente dovrebbe cercare di nascondersi ancora più di prima.
Quando Haman si mette d’accordo con i governanti del momento, quando viene plaudito dalle Nazioni Unite e gli viene concessa via libera per l’antisemitismo, quando essere ebreo è la cosa più scomoda che ti possa accadere, lì ritrovi D-o.
D-o è nella gioia, nell’orgoglio ritrovato di appartenere a questa nazione.
Buon Purim!
Gheula Canarutto Nemni
In effetti, cara Gheula, sono gli antisemiti ad avermi reso ebrea, a costringermi a scoprire, con inaspettato orgoglio, radici che la pace e l’assimilazione tendono a dissolvere in tutta la diaspora.