Cara Adriana,
Non è facile essere madri oggi.
Rientrare in tutti quei compiti che ci si aspetta portiamo a termine, in tutte quelle liste interminabili di tappe, telefonate, impegni. La combinazione delle cose che dobbiamo fare ha come risultato un numero infinito.
Non finiamo mai di muoverci, di darci da fare. Il nostro orario di lavoro come donne e madri è illegale. Supera di gran lunga le otto ore consentite al giorno. Nel giro per andare al lavoro c’è la tappa dell’asilo, della scuola, quando chiudi l’ufficio devi riaprire tutti i files mentali famigliari, spesa, rientro a casa dei figli, compiti, cena, camicie da stirare e magari anche l’idraulico o l’elettricista.
Quando si attaccano troppi elettrodomestici alla corrente, il contatore si sovraccarica e fa saltare la luce. Quando si immagazzinano troppo incombenze famigliari, professionali, domestiche, il cervello rischia il corto circuito.
Adriana, ti seguo con la mente mentre esci dal lavoro con in testa la lista delle cose ancora da fare. Quando cerchi di ricordarti dove hai parcheggiato la macchina, quando sudi già al pensiero di entrare dentro a quella scatola bollente.
Ti vedo mentre ti avvicini, con i pensieri banali di ogni donna e madre che occupano la tua mente. Mentre compi quegli ultimi passi leggeri prima che la tua vita cambi per sempre.
Lo sento quell’urlo terribile che squarcia la piazza, le torri, le nuvole e arriva direttamente in Cielo.
Non posso essere stata io la protagonista di questa storia stupida, non può essere successo a me che la amo più di ogni altra cosa al mondo, avrai pensato.
Ti prego, fai che sia solo un cartellino giallo, un avvertimento che mi riporti lungo la strada delle cose importanti. Dammi una chance per dimostrare che, da domani, la mia vita la vivrò in modo diverso, che le cose per cui sacrificherò il mio tempo le ritroverò sotto la voce ‘importanti’.
C’è scritto che le anime stanno in terra giusto il tempo di perfezionarsi e portare a termine il proprio compito.
La tua bimba era quasi perfetta. E in pochi mesi ha finito di svolgere la missione che le era stata assegnata.
Ora la stanno cullando gli angeli in Cielo.
Di qualsiasi cosa ti accusino, rispondi, la mia pena l’ho già scontata in quei maledetti 10 secondi.
Poteva essere ognuna di noi la distratta, quella che spegneva la macchina e ripassava le cose da fare in ufficio mentre chiudeva la porta.
Dentro a quei files corrotti poteva esserci il pensiero di ognuna di noi, nei passi che si allontanano inconsapevoli dall’amore più grande, c’erano tantissime donne sovraccariche di liste.
Ho sfogliato la tua pagina Facebook prima che la chiudessi. Ci ho ritrovato articoli condivisi, faccine, sogni di una donna uguale a milioni di altre.
Oggi virtualmente si può mandare di tutto.
Io ti mando un abbraccio forte, enorme, una spalla su cui appoggiare la testa e permettersi il lusso di non pensare.
Dietro al bip che chiude la macchina, dentro a quell’urlo infinito di una madre rimasta impigliata nella rete delle infinite incombenze, intrappolata nelle distrazioni della vita, non ci sei solo tu Adriana. Ma milioni di donne.
Ero sicura che uno come lei non avrebbe mai rinunciato all’ultima parola: adesso replichi pure, e stia sicuro che gliela lascerò.
PS: tanto per cambiare non ha capito una parola di quello che ho scritto: è a discutere con uno come lei che mi dichiaro impotente. E ho detto “dichiaro”: in italiano dichiarare e sentire non sono sinonimi, sa?
E con questo passo e chiudo.
Ecco. È proprio questo il senso del mio intervento. Lei si sente impotente, e forse lo è. Per fortuna altri, ricercatori seri, purtroppo ancora pochi, non lo sono. E continuano a fare ricerca. E forse un giorno anche lei capirà. Nonostante gli dei. …
Se solo avesse letto fino in fondo
Cioè lei dà per scontato che io non abbia letto fino in fondo. E cosa devo dirle? Complimenti. Congratulazioni. Felicitazioni. Auguri e figli maschi. E soprattutto, ancora una volta, complimenti per avere così meravigliosamente capito il messaggio di Gheula. E qui mi fermo, perché anch’io, al pari degli dei, mi dichiaro impotente.
Cara Barbara (immagino sia il suo nome),
Se solo avesse letto fino in fondo avrebbe notato un riferimento a un articolo da cui, se ha interesse, potrebbe partire per capire cosa c’è dietro il mio intervento e, magari, rendersi conto che la superficialità, quella si pericolosa, sta nello giustificare, nel consolare, nell’affidarsi a dio. L’interesse vero, l’amore per l’altro essere umano, anche se sconosciuto, non ha pietà.
Senza offesa, signor Cafiero: è sicuro di avere capito quello che ha scritto Gheula? La quale ha perfettamente ragione a sentirsi offesa da un commento così supponente – oltre che suprficiale – da maestrino in cattedra che giudica col ditino alzato.
Gheula, sono davvero sinceramente dispiaciuto che si sia sentita “offesa” dal mio commento. Non era mia intenzione.
Il mio intento era solo quello di stimolarla a riflettere sul concetto (che lei ribadisce ancora una volta nella sua risposta al mio commento), che gli “automatismi che ingannano” facciano parte della natura umana e non sono malattia.
Ribadisco: no, no e no. La pulsione di annullamento nei confronti di un bambino non è un “automatismo” naturale della mente umana. E’ il segno di una grave patologia psichiatrica che andrebbe trattata da professionisti competenti.
Carlo, il problema esiste eccome. Non ho mai detto che un bambino è un punto sulla lista della spesa. Nella mente dell’essere umano si innescano degli automatismi che ingannano, facendo pensare di avere compito un gesto che ripetiamo ogni giorno. Non bisogna essere malati perché accada.
Mi dica che non è d’accordo con me. Accetto e ascolto volentieri le opinioni diverse dalle mie. Ma non mi piace quando mi si offende. Il rispetto è alla base del dialogo
Cara Gheula,
Consolare, come fa lei, far finta che il problema non esiste, credere che “possa capitare a chiunque”, nasconde l’idea religiosa che la malattia non esiste. La stessa idea che nel medioevo contribuiva a diffondere la peste. Negare l’idea della malattia non aiuta veramente nessuno. Anzi, condanna.
No. Per una mente umana sana un bambino non può essere mai un punto nella lista della spesa. Il solo pensarlo è già sintomo del fatto che ci sia qualcosa che non va. Affrontare l’idea della malattia mentale senza avere gli strumenti adeguati per farlo effettivamente provoca angoscia, come in chi, appunto, non sapendo a cosa fosse dovuta la peste e non avendo alcuna idea di come curarla, pensava che l’unica cosa da fare fosse pregare, e sperare che quel dio – tutt’altro che misericordioso – che l’aveva mandata, se la prendese con gli altri e non con se.
Ma perché, mi chiedo, anziché restare in silenzio, lei si deve sentire in dovere di condannare Adriana e milioni di altre donne a sentirsi inadeguate ad essere allo stesso tempo madri e donne impegnate? E perché poi avallare il pensiero violento che relega solo alle donne la responsabilità di prendersi cura dei figli?
No, Gheula, se lei avesse avuto un vero interesse per Adriana, forse avrebbe fatto meglio a tacere, o a provare ad approfondire davvero la questione, prima di provare a “consolare”.
Per fortuna, come per la peste, qualche scienziato non condizionato dal pensiero religioso c’è stato, e invece che fermarsi a pregare, si è chiesto quale fosse la causa di quella che, se solo si fermasse a riflettere davvero, anche lei, sono certo, ammetterebbe non essere “normalità” ma alterazione del pensiero sano che “sente” – sempre – la presenza di un altro essere umano.
P.S. Se le interessa, della differenza tra dimenticanza e annullamento il settimanale Left ne ha parlato a lungo, ripubblicando un articolo della dottoressa Annelore Homberg scritto nel 2011, e la riprende nell’editoriale di Matteo Fago nel numero appena uscito in edicola.
Cara Gheula , questa lettera o la mandi ai grandi giornali Tu o …Serve a milioni di donne , solo Tu hai trovato le parole giuste ( come sempre ) per inquadrare la situazione . Che D-o Ti strabenedica ! Zdenka
Il giorno 14 giugno 2017 08:36, Gheula Canarutto Nemni ha scritto:
> Gheula Canarutto Nemni posted: “Cara Adriana, Non è facile essere madri > oggi. Rientrare in tutti quei compiti che ci si aspetta portiamo a > termine, in tutte quelle liste interminabili di tappe, telefonate, impegni. > La combinazione delle cose che dobbiamo fare ha come risult” >