Stanotte eravamo davanti alla lapide di Leon da Modena, stavamo leggendo i versi che venivano alla luce via via che grattavamo dalla superficie di marmo le incrostazioni del tempo.
Cercavamo di dare un senso ai simboli, di attribuire un significato alle righe e alle rime, di restituire respiro al suono delle parole antiche che rimbombavano nel buio della casa della vita, come si chiama in ebraico il posto del riposo eterno.
A un certo punto mi hai guardato e mi hai detto: assomigli alla mamma, ma i tuoi occhi sono esattamente come i miei.
Mi sono guardata allo specchio e ho pensato che sì, lo avevo sempre saputo, eppure non ci avevo mai davvero pensato. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e in quello specchio avrei dovuto sempre vedere anche una parte di te.
Quello spirito combattente contro chi voleva farci sparire dal mondo, contro l’oblio del tempo, contro i colori che sbiadiscono e che tu cercavi di fermare su una pellicola Agfa da 400 asa.
Ogni volta che mi fermo a pensare da quanti giorni non riesco più a vederti con gli occhi del corpo e da quanti mesi devo immaginarti con gli occhi della mente, da quante notti ti devo sognare, come la scorsa notte, per poterti parlare, non riesco a crederci. Che siano passati così tanti anni dal nostro ultimo abbraccio.
Ma io lo so che ti afferro ad ogni mio passo,
quando racconto di Torah,
di ebrei,
quando parlo di D-o,
di miracoli nascosti nella natura,
di orgoglio ebraico e fede.
E ti ritrovo li’, nascosto tra le righe,
una testa che spunta tra la gente.
Ti voglio bene papi, ma Lassù, dove stai godendo della pura presenza divina, della luce trascendente con i giusti di ogni luogo e tempo, ogni cosa è risaputa. Anche il mio amore infinito per te.
Che la tua anima rimanga sempre attaccata alla vita
Tua Gheula
Canarutto
Nemni
Mi hai commosso… anch’io ho tanta nostalgia di papà!