Una delle prime preghiere che recitiamo al mattino dice ‘D-o attaccami alle persone buone’. Attaccami, non semplicemente fammi stare vicino, fai in modo che possa domani essere come loro.
Però non si incontrano persone del genere tutti i giorni. Individui in grado di farti auspicare di assumere un po’ delle loro caratteristiche positive. Che ti invogliano a svegliarti l’indomani con addosso, attaccata e parte integrante di te, la cosa buona che da loro hai imparato.
A Milano c’è un piccolo ristorante che amiamo. E non solo per il cibo che serve.
È’ un posto piccolo, accogliente, il cui proprietario e’ Afshin, un mio ex compagno di classe. Ai tempi della scuola era l’unico, tra i compagni maschi, a non subissarmi di scherzi e secchiate d’acqua in testa.
Adoro entrarci, respirare l’aria di cibo fresco. Ma, è soprattutto l’atmosfera ad essere speciale. Afshin non è solo dentro al suo ristorante. Dietro al bancone c’è suo fratello Ruben, tra i tavoli spesso volteggia la sorella. E negli ultimi mesi è comparsa la sua fidanzata diventata poche settimane fa sua moglie.
Ultimamente il papà non era stato bene. Afsaneh, la sorella, ha iniziato a fare la spola tra l’ospedale dove stava il papà e il ristorante. Quando lei appariva, Afshin fuggiva e così a rotazione non c’era un secondo in cui il padre fosse da solo.
E i figli vivevano ogni secondo come se, oltre a lui, non ci fosse nient’altro.
Forse è stata l’assenza degli scherzi cattivi a portarmi all’inizio tra le mura di Denzel, il ristorante di questi fratelli.
Ma ora so che lì, in via Washington, non c’è solo l’hamburger migliore d’Italia.
Lì ho incontrato tre grandi maestri.
Tre persone che mi hanno insegnato il vero significato del rispetto di un genitore. Che mi hanno trasmesso il vero senso di forza, potere. Siamo forti quando stiamo tutti insieme, quando tre fratelli si muovono all’unisono per la stessa causa, quando ci si alterna per non fare mai sentire il padre solo, anche a costo di apparire sciupati, smagriti, senza una lista definitiva degli invitati, a due settimane dal matrimonio.
Non esiste una gioia più grande per un genitore che vedere i propri figli aiutarsi a vicenda, crescere insieme e costruire il proprio futuro appoggiandosi l’uno all’altro.
Non c’è regalo più grande che si possa chiedere.
E voi, fratelli Kaboli, ci avete insegnato come farlo questo dono. Non a parole e con lezioni sui manuali. Ma con un esempio di vita vissuta.
Il secondo santuario è stato distrutto perché tra il popolo ebraico non c’era una grande quantità d’amore, anzi.
D-o ammette più gli sgarri rivolti a Lui, che quelli rivolti ai nostri fratelli.
Quando mi domando cosa significhi fare felice D-o, nostro padre, ora so rispondere. Significa fare fronte compatto con il mio popolo e tutti insieme affrontare le difficoltà, le sfide, le minacce, i momenti bui.
Solo così, come i fratelli Kaboli mi hanno insegnato, dimostreremo di amarLo con tutto il nostro cuore. E verremo premiati con giorni migliori. I migliori.
Ora il loro papà è in cielo, insieme alla moglie e ai serafini.
E senza dubbio sta brillando non solo di luce propria. Ma di tutta la luce che i suoi figli hanno creato.
Gheula