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Purim, D-o e il Caso

Pubblicato il | La Bibbia e noi

La prima volta che compare nella storia del popolo ebraico la parola Yehudim, ebrei, non è quando si trovano davanti al Monte Sinai, non è nemmeno nel momento in cui entrano per la prima volta in terra di Israele, non è quando incoronano il loro primo re.

La prima volta che il popolo ebraico si trasforma da Bnei Israel, figli di Israele, figli di qualcuno da cui attingono la fede e la forza spirituale, a yehudim, entità a sé stante, in grado di andare avanti basandosi non solo sui meriti degli antenati, ma anche sui propri, è tra la distruzione del primo santuario e la ricostruzione del secondo, quando si trova sotto al dominio di Achashverosh, Assuero, minacciato di sterminio dall’uomo più importante del regno, Haman.

Quando D-o diede la Torà al popolo ebraico, il popolo fu ‘costretto’ ad accettarla. Non aveva scelta.

La rivelazione divina era talmente palese, concreta e tangibile, che nessuno avrebbe mai potuto negarne l’evidenza.

Durante il periodo nel quale avvenne la festa di Purim, il popolo ebraico aveva iniziato ad assimilarsi.

Lontano dalla propria terra, i ricordi annebbiati dei miracoli che avvenivano nel santuario e della leadership spirituale del sommo sacerdote, del re.

Gli ebrei avevano iniziato ad assaggiare la convivenza con altre civiltà, il confronto in terra straniera con culture e fedi diverse e a scalare le vette della società.

La presenza di D-o e della Sua Torà nelle loro vite aveva iniziato a rarefarsi.

Fino a quando un uomo di nome Haman, discendente da Amalek, la stirpe che non ammette la fede in D-o e l’ammissione che sia Lui a dirigere ogni minimo dettaglio del mondo, decise che quel popolo, nonostante si stesse assimilando davvero bene, era comunque una spina nel fianco.

Gli ebrei con la propria fede diversa rischiavano di minacciare gli equilibri interni dell’impero, con il proprio credo erano potenziali destabilizzatori di masse che dovevano rimanere assoggettate al culto di un essere umano supremo e non certo di un D-o che ti richiede di essere parte attiva del Proprio progetto.

Non veniamo definiti Yehudim quando la rivelazione divina è al suo apice, davanti al monte Sinai.

E’ nell’impero persiano che questo avviene quando, sparsi tra culture e civiltà diverse, scegliamo D-o per la prima volta di nostra spontanea volontà e non perché D-o è lì e non possiamo fare a meno di ammetterne la presenza.

Siamo diventati Yehudim quando D-o si è talmente nascosto che sembrava quasi non esserci. Come nella meghilà di Ester in cui il nome di D-o non è menzionato nemmeno una volta e tutti gli eventi si intrecciano in un mosaico di casualità apparenti, come una lotteria, pur, lasciando al lettore la libertà di scegliere se andare alla ricerca della Mano Invisibile che muove tutto dall’alto o continuare a credere nel potere del caos di regolare il mondo.

Siamo nati come nazione quando eravamo convinti che l’assimilazione potesse salvarci. Siamo nati come popolo quando hanno minacciato di sterminarci.

Siamo cresciuti e diventati ebrei, quando il mondo fuori osannava le capacità indescrivibili dell’uomo e la sua super potenza, quando nominare D-o non andava di moda e la fede appariva superata da credi più moderni.

Siamo diventati ebrei quando ci stavamo quasi per cascare anche noi in quella trappola di fiducia cieca nell’essere umano e nel caso.

Purim è la celebrazione della gioia senza confini che nasce dal ritrovare D-o in quei momenti in cui ci sembrava lontano. La felicità illimitata della luce che emerge dal buio profondo.

Purim Sameach!

Gheula Canarutto Nemni

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