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La storia di un libro di preghiera sfuggito ad Auschwitz

Pubblicato il | Shoah

Qualcuno stava bussando alla porta. Erano le tre del mattino.
"Signora Rabello, apra. Sono la vicina di casa"

Alba sentì un rumore che attraversava il suo sonno. Un sonno che negli ultimi mesi era inquieto, pieno di incubi e risvegli affannati.
Il rumore alla porta non smetteva. Emilio, il marito, si alzò per andare a vedere chi fosse.
Era la loro vicina di casa, con la quale sua moglie spesso si fermava a chiacchierare.
‘Signor Rabello, grazie al cielo mi ha aperto. Ho aspettato che fosse notte fonda in modo che nessuno dei condomini mi vedesse. Dovete sbrigarvi. Ho sentito dire dalla custode che qualcuno vi ha denunciato. Verranno stamattina a prendervi’
Uomo di poche parole, dedicò alla donna il massimo che potesse darle in quel momento. ‘La ringrazio signora Petrelli, che D-o la benedica’
Emilio si avvicinò a sua moglie.
‘Alba, dobbiamo sbrigarci. Stanno venendo’
Non ci fu bisogno di specificare chi stesse arrivando e perché. Era solo questione di tempo, lo sapevano tutti e due. E da quando avevano perso la possibilità di imbarcarsi sull’ultima nave in partenza dall’Europa per gli Stati Uniti, li attanagliava l’ansia di non potercela fare a mettere in atto il piano di riserva.
Alba si alzò velocemente, prese la valigia che stava già pronta sotto al suo letto da settimane e ci infilò la propria camicia da notte.
I bambini li lasciò dormire fino all’ultimo. Ogni minuto lontani dalla realtà era un tesoro prezioso.
‘Alba, mi raccomando. Nessuna cosa che faccia capire chi siamo. Dobbiamo sembrare dei semplici italiani in viaggio verso la campagna’
Alba lo ascoltò in silenzio, il cuore in tumulto.
Fuori faceva freddo. Wally piangeva che voleva il suo latte.
‘Non ora ti prego’ disse Alba alla sua bimba di tre mesi.
Si incamminarono. Dovevano arrivare alla stazione centrale di Milano e da lì proseguire per Lanzo d’Intelvi. E poi attraversare le montagne per raggiungere il confine con Svizzera.
Con l’aiuto di D-o, sussurrò Alba guardando il cielo azzurro.
‘Alt! Fermatevi!’
Il cuore sobbalzò loro in petto.
Non piangere, non adesso. Sii forte. Fallo per i tuoi figli.
La famiglia si fermò in mezzo a via Sardegna. Le occhiate furtive dei passanti accompagnavano le parole del funzionario.
‘Dove state andando?’
‘In montagna da amici. Ci hanno invitato a passare qualche giorno con loro’ rispose Emilio ripetendo la frase che si era preparato infinite volte di fronte allo specchio del bagno.
‘Aprite le valigie!’ intimò.
Le tremarono le gambe. Si aggrappò alla fede, quel raggio di luce e speranza grazie al quale il suo popolo era sopravvissuto agli innumerevoli tentativi di farlo sparire.
‘Certo’ disse Alba sfoderando il sorriso amaro di una ragazza sposata da poco a cui era stato rubato il diritto di vivere una vita normale.
Vestiti di bambini, copertine, due gonne di ricambio, due giacche per Emilio.
‘E questo? Cosa è questo?’ domandò con un tono impetuoso il carabiniere.
La scritta 'Formulario di Orazioni secondo il rito italiano' troneggiava sulla prima pagina, inconsapevole del pericolo che le sue poche parole rappresentavano.
Alba cercò di ignorare lo sguardo spaventato e accusatorio di suo marito. Le era stato impossibile lasciarsi dietro tutta l’identità che le apparteneva. Era fiera di essere ebrea, era orgogliosa di appartenere a quella nazione. Non voleva avere paura di essere chi era.
‘E’ il libro sul quale do’ lezioni di greco’ rispose Alba con tutta la sicurezza che può sfoderare una persona che sta sfidando il proprio destino.
Ci fu un attimo di silenzio. L’intervallo che avrebbe separato la vita dalla morte.
Il carabiniere chiuse il libro. Alba non alzò gli occhi verso il marito. Quel libro rappresentava la sua fede, la capacità di credere e continuare a pregare che nessuno le avrebbe mai potuto togliere, rappresentava la catena che la legava ai suoi avi, ai suoi genitori, un legame imprescindibile con la propria essenza.
Un angelo mosse le labbra del carabiniere. E invece di pronunciare la loro sentenza di morte, disse: ‘andate’, facendo cenno con la mano, come se quel piccolo movimento nell’aria potesse trasportare all’istante quella famiglia in un posto sicuro. In un attimo creò uno spiraglio di vita e futuro.
Il libro di preghiera arrivò a Lanzo d’Intelvi insieme con Alba, Emilio e i loro due figli. Passò sotto al filo spinato e riuscì a non farsi sentire dai cani lupo che sorvegliavano il confine. Venne aperto e richiuso per due anni nel campo di internamento in Svizzera. D-o fai che riveda i miei genitori e la mia famiglia, diceva Alba ogni volta prima di nasconderlo tra le sue due gonne.

Il libro tornò a Milano nel 1945. E con esso la famiglia Rabello.
Parte dei loro parenti era stata caricata su convogli e trasformata in cenere ad Auschwitz e Birkenau.
Il libro di preghiera accompagnò Alba fino all’ultimo respiro.
Posato sul comò accanto al letto, aperto e richiuso per tre volte al giorno, simbolo della resilienza di un popolo che non ha mail voluto smettere di credere, di trasmettere, di raccontare e soprattutto di pregare.

Alba, mia nonna, mi diceva sempre: Gheula, impara questa frase a memoria. Bechol derachecha daehu, ritrova D-o in ogni tua strada. Anche nei momenti più bui, quando hanno cercato di toglierci tutto ciò che possedevamo e distruggere tutto ciò che eravamo, siamo rimasti attaccati alla fede. Perché c’è qualcosa di peggio della morte fisica. La morte spirituale.

Gheula Canarutto Nemni

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